40 anni dopo, in Cile la memoria del golpe è ancora divisa

 L'11 settembre 1973 veniva rovesciato il governo di Allende e instaurata la dittatura militare di Pinochet. Oggi il giudizio sul regime non è unanime.

di Maurizio Stefanini


L’11 settembre 2013 sono quarant’anni dal colpo di Stato con cui nel 1973 il generale Pinochet abbatté il governo del socialista Salvador Allende.

È un anniversario che arriva mentre è al potere un governo di destra, composto in larga parte da partiti che sostennero il regime militare, ma con un presidente che personalmente al referendum del 1988 si schierò con l’opposizione.

Proprio con Sebastián Piñera presidente hanno iniziato a essere finalmente liquidate alcune eredità del regime Pinochet su cui i governi di centro-sinistra non si erano azzardati a agire, nel timore di far saltare i fragili termini del compromesso col quale era avvenuta la transizione alla democrazia: dalla legge anti-terrorismo alle nuove indagini sulle morti misteriose dell’era di Pinochet, alla riforma del sistema di iscrizione elettorale, fino all’accordo generale per il superamento dell'assurdo sistema elettorale binominale. Questo non assicurava né la governabilità, né la rappresentatività ma che era stato imposto dal regime militare prima di permettere il ritorno della democrazia per garantire una sovrarappresentazione della destra.

Il 3 settembre la commissione Costituzione, Legislazione e Giustizia del Senato ha approvato con 4 voti a favore (i democristiani Soledad Alvear e Patricio Walker e i rappresentanti del partito di destra moderata Renovación Nacional Carlos Larraín e Alberto Espina) e l’astensione del senatore del partito di destra più dura Udi Hernán Larraín il progetto di riforma elettorale, la cui modifica secondo i sondaggi è richiesta da almeno il 52% dei cileni.

Il Congresso passerebbe dunque da 120 deputati e 38 senatori a 134 deputati e 44 senatori; si porrebbe un limite alla rieleggibilità, 2 mandati per i senatori e 3 per i deputati; le alleanze potrebbero presentare un numero di candidature doppio rispetto ai seggi in palio, mentre ora è permesso avere solo 2 candidati per ogni collegio; le circoscrizioni binominali resterebbero solo per il 25% dei senatori e il 5% dei deputati, mentre per il resto si utilizzerebbero collegi oligonominali da 4 o 6 eletti. Mentre per essere eletto in un collegio binominale attualmente bisogna avere almeno il 34% dei voti, in un collegio da 4 seggi la soglia di sbarramento calerebbe al 20% e in un collegio da 6 seggi al 15%.

Piñera voleva inoltre dare più attenzione all'aspetto sociale del modello di crescita economica che la democrazia aveva ereditato dal regime militare - modello che aveva lasciato grosse sperequazioni: porre fne all’indigenza entro il 2014 e alla povertà entro il 2018. Mantenendo nel 2012 un tasso di incremento del pil che con il +5,5% è stato il maggiore dell’Ocse, tra 2009 e 2011 la cifra degli indigenti è calata dal 3,7 al 2,8% della popolazione e quella della povertà dal 15,1 al 14,4%, anche se questi dati sono contestati.

Restano acuti focolai di malcontento tra gli studenti e tra gli indios. Ma sono questioni che Piñera ha ereditato dai governi di centro-sinistra, anche se non sembra essere riuscito a migliorare la situazione. Va aggiunto che Piñera è stato appoggiato anche da intellettuali già in prima linea nell’opposizione a Pinochet, da Jorge Edwards a Roberto Ampuero: quest’ultimo, il giallista creatore del famoso detective Cayetano Brulé, è un ex-giovane comunista per anni esule a Cuba e in Germania Orientale, che il 9 giugno è diventato addirittura ministro della Cultura.

In teoria questo quarantennale avrebbe dovuto segnare il definitivo superamento degli steccati del passato, verso la costruzione di un modello di memoria storica finalmente condivisa. Invece ha segnato una ripresa della polemica: probabilmente anche per il modo in cui alle imminenti presidenziali si affrontano 2 candidate la cui vicenda personale è legata in modo drammatico alle vicende del 1973.

Dichiarando che nel governo attuale vi sono “molti partecipanti al regime di Pinochet”, infatti, gran parte dell’opposizione ha scelto di disertare le celebrazioni ufficiali, partecipando invece a un “atto parallelo” in un Museo della Memoria che per la presenza della candidata presidenziale Michelle Bachelet ha acquisito un marcato carattere di propaganda elettorale - anche se la stessa Bachelet ha riconosciuto il rischio di tornare a un clima di polarizzazione. “Deploriamo il fatto che i dirigenti della Concertazione e il presidente del Senato”, che è il democristiano Jorge Pizarro, “non abbiano voluto venire al Palacio del la Moneda, che è la casa di tutti i cileni, a partecipare a un atto cui sono stati invitati dal presidente di tutti i cileni”, ha detto la segretaria generale del governo Cecilia Pérez, secondo cui "insistere nel dire che alcuni sono difensori delle vittime e altri no non è ciò a cui il Cile aspira nel presente e nel futuro. Non corrisponde a quel che è stato lo spirito e la traiettoria in materia di diritti umani dell'attuale presidente del Cile, Sebastián Piñera”.

Lo stesso Piñera, pur affermando con forza che “nei miei governi non c’è stato nessun ministro che lo sia stato anche del regime militare”, ha ammesso che quel regime ha avuto “ombre profonde” e che molti sono stati “suoi complici passivi”. “Giudici che hanno negato azioni che avrebbero permesso di salvare tante vite. Anche giornalisti, che misero titoli sapendo che quel che era pubblicato non corrispondeva a verità”. Però, oltre ad accusare Allende di aver distrutto lo Stato di diritto, ha insistito sulle “luci” di quello stesso regime: “il programma di modernizzazione della nostra società, della nostra economia e istituzioni, l’apertura all’esterno, l’incorporazione dell’economia sociale di mercato e le opportunità per l'iniziativa individuale”.

Erano peraltro tutti punti su cui la gran parte degli oppositori nel periodo della transizione del 1988-90 era d'accordo, punti che sono stati in effetti mantenuti dai governi di centro-sinistra - compresi quelli dei socialisti Ricardo Lagos e Michelle Bachelet. Un importante contributo al superamento del passato viene dal libro Voces de la reconciliación, a curato del già citato senatore di destra Hernán Larraín e dell’ex-senatore, segretario e presidente del Partito Socialista Ricardo Nuñez, con testi tra gli altri degli ex-presidenti Patricio Aylwin, Eduardo Frei e Ricardo Lagos, oltre che di Piñera e di vari politici, accademici, giuristi e dirigenti sociali. Alla presentazione del libro, il 26 agosto, Larraín ha formulato una pubblica richiesta di perdono a nome della destra. Gli ex presidenti Frei e Lagos hanno partecipato alla manifestazione con la Bachelet; altre manifestazioni, per ricordare violazioni dei diritti umani e vittime, sono state per le strade.

Tuttavia il tema di un regime il cui bilancio in diritti umani è di circa 3216 morti, 1200 desaparecidos, 30 mila torturati e 200 mila esuli, invece di stemperarsi, si sta facendo più rovente. Un sondaggio fatto proprio per il quarantennale dimostra infatti che secondo il 41% dei cileni il responsabile del golpe fu Pinochet, mentre il 9% dà le colpe principali a Allende e un 26% non sa o non risponde. Il 56% dice che i 17 anni del regime furono “cattivi”, contro l’8% che li giudica buoni: una proporzione che è di meno di un quinto rispetto al 44,01% di cileni che al referendum del 5 ottobre 1988 votò contro Pinochet (e tra loro, lo ribadiamo, Piñera non c’era); il 15% non sa o non risponde, il 21% li definisce “normali”. Secondo il 74%, poi, le divisioni di quel periodo “non sono state ancora dimenticate”, contro il 15% che dice di sì e l’11% che non sa o non risponde. Il 75% ritiene anche che rimangono le ferite lasciate dalla dittatura, contro il 12% e il 13% di non so o non rispondo.

Dieci anni fa, al tempo del trentesimo anniversario, solo il 24% dei cileni considerava Pinochet come il principale responsabile del golpe, contro il 13% di Allende. Fino al 2010 l’opinione maggioritaria sugli anni di Pinochet era positiva. E la proporzione dei cileni che ritiene Pinochet “il miglior governante del secolo” è caduta dal 27% del 1996 al 18 del 2006 e al 9 attuale. 


Maurizio Stefanini, giornalista professionista e saggista. Free lance, collabora con Il Foglio, Libero, Limes, Longitude, Agi Energia. Specialista in politica comparata, processi di transizione alla democrazia, problemi del Terzo Mondo, in particolare dell’America Latina, e rievocazioni storiche. Ha scritto: I senza patria; Avanzo di Allah cuore del mondo. Il romanzo dell'AfghanistanI nomi del maleGrandi coalizioni. Quando funzionano, quando noUltras. Identità, politica e violenza nel tifo sportivo da Pompei a Raciti e SandriIl partito «Repubblica». Una storia politica del giornale di Scalfari e MauroSesso & potere. Grandi scandali di ieri e di oggi. Ha scritto per Il Foglio una biografia di Fidel Castro in cinque puntate e una biografia di Hugo Chávez in venti puntate. Ha redatto il capitolo sull’Emisfero Occidentale in Nomos & Kaos Rapporto Nomisma 2010-2011 sulle prospettive economico-strategiche.
Fonte: Limes

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