La Vittoria di Angie

Trionfo della CDU. L’SPD guadagna il 2,7% rispetto al 2009, ma viene distanziata di 15,8 punti.  Fuori dal Bundestag gli alleati dell’FDP, che crollano di quasi 10 punti. Verso una nuova Große Koalition.
di Carlo Carbonara




La giornata elettorale di ieri rappresenta una cesura storica. Il 41,5% dei voti rappresentano più che una vittoria una chiara investitura, un’inneccepibile approvazione del mandato di Angela Merkel. Il trionfo della CDU è il suo trionfo. Se  i cristiano-democratici rimanessero oggi orfani di Angie, avrebbero vita breve. La Germania è oggi la Germania della Merkel, la Merkel-Republik, come è stata ribattezzata dallo Spiegel e il suo nome viene accostato a quello storico di Konrad Adenauer.  Non avrà riportato in patria i prigionieri di guerra dall’Unione Sovietica, non avrà restituito il Saarland alla Repubblica Federale Tedesca, ma le ha restituito una sorta di sovranità morale, dettando l’indirizzo economico all’intera Unione Europea. Meno spettacolare del suo illustre collega, Angie ha saputo sfruttare al meglio questo suo ruolo di casalinga dedita al risparmio e al controllo del bilancio. Ed è proprio questo che è piaciuto a molti tedeschi, i quali hanno avuto la percezione che la sua sia stata una gestione ordinata in un periodo confuso e che allo stesso tempo non abbiano dovuto tirare fuori un euro per contribuire a risolvere i problemi altrui.  Contemporaneamente ha sorpassato a sinistra la socialdemocrazia su questioni come l’aumento dei sussidi per l’infanzia, l’introduzione di un calmiere per gli affitti e l’innalzamento del salario minimo.
Il suo sfidante, Peer Steinbrück non si è dimostrato all’altezza del compito: le sue gaffe, la sua poca incisività e un programma, quello del suo partito, per certi versi molto simile a quello della CDU, hanno contribuito al modesto risultato.
Crollo dei liberali che restano fuori dal Bundestag per la prima volta. Leggera flessione per i verdi e per il Partito della Sinistra.



Gli scenari possibili
Quello che appare chiaro è che, con i liberali fuori dal Bundestag, i partiti che faranno compagnia ai cristiano-democratici nei prossimi quattro anni sono tutti di sinistra. L’SPD ha già scartato nella serata di ieri l’ipotesi di un governo a tre con Verdi e Partito della Sinistra.
Pare dunque probabile il restaurarsi della Große Koalition. L’inedita accoppiata con i Verdi, difatti, più che dalla presenza o meno di punti in comune (i quali non sarebbero nemmeno pochi), sarebbe minata dai punti di divergenza, i quali, in quanto ideologici, sarebbero difficili da superare. Un secondo punto a sfavore dell’alleanza è rappresentato da una questione prettamente strategica: un’alleanza del genere non avrebbe il sostegno del Bundesrat.
Non restano che i socialdemocratici quindi. Se durante il suo primo mandato la Merkel dovette cedere otto ministeri alla squadra di Gerhard Schröder, oggi partirebbe da una situazione di forza nettamente più favorevole di quella del 2005.
L’SPD non nasconde tuttavia scetticismo, remore della precedente esperienza coabitativa, della quale si sta ancora leccando le ferite. Ma non sembra avere alternative e i primi contatti con la segreteria di Sigmar Gabriel pare che siano stati già stati avviati.

Se per le questioni interne la Merkel sembra non disdegnare l’abbraccio di temi cari ad una cultura di sinistra, come si comporterà in politica estera? La domanda sarebbe: un parlamento di sinistra riuscirà a far rivedere ad Angie le sue politiche di  risparmio o il suo stile freddo e prepotente mostrato finora all’interno dell’UE? O assisteremo anche in Germania all’ulteriore riduzione della sempre più labile differenza tra un partito conservatore e uno riformista?




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40 anni dopo, in Cile la memoria del golpe è ancora divisa

 L'11 settembre 1973 veniva rovesciato il governo di Allende e instaurata la dittatura militare di Pinochet. Oggi il giudizio sul regime non è unanime.

di Maurizio Stefanini


L’11 settembre 2013 sono quarant’anni dal colpo di Stato con cui nel 1973 il generale Pinochet abbatté il governo del socialista Salvador Allende.

È un anniversario che arriva mentre è al potere un governo di destra, composto in larga parte da partiti che sostennero il regime militare, ma con un presidente che personalmente al referendum del 1988 si schierò con l’opposizione.

Proprio con Sebastián Piñera presidente hanno iniziato a essere finalmente liquidate alcune eredità del regime Pinochet su cui i governi di centro-sinistra non si erano azzardati a agire, nel timore di far saltare i fragili termini del compromesso col quale era avvenuta la transizione alla democrazia: dalla legge anti-terrorismo alle nuove indagini sulle morti misteriose dell’era di Pinochet, alla riforma del sistema di iscrizione elettorale, fino all’accordo generale per il superamento dell'assurdo sistema elettorale binominale. Questo non assicurava né la governabilità, né la rappresentatività ma che era stato imposto dal regime militare prima di permettere il ritorno della democrazia per garantire una sovrarappresentazione della destra.

Il 3 settembre la commissione Costituzione, Legislazione e Giustizia del Senato ha approvato con 4 voti a favore (i democristiani Soledad Alvear e Patricio Walker e i rappresentanti del partito di destra moderata Renovación Nacional Carlos Larraín e Alberto Espina) e l’astensione del senatore del partito di destra più dura Udi Hernán Larraín il progetto di riforma elettorale, la cui modifica secondo i sondaggi è richiesta da almeno il 52% dei cileni.

Il Congresso passerebbe dunque da 120 deputati e 38 senatori a 134 deputati e 44 senatori; si porrebbe un limite alla rieleggibilità, 2 mandati per i senatori e 3 per i deputati; le alleanze potrebbero presentare un numero di candidature doppio rispetto ai seggi in palio, mentre ora è permesso avere solo 2 candidati per ogni collegio; le circoscrizioni binominali resterebbero solo per il 25% dei senatori e il 5% dei deputati, mentre per il resto si utilizzerebbero collegi oligonominali da 4 o 6 eletti. Mentre per essere eletto in un collegio binominale attualmente bisogna avere almeno il 34% dei voti, in un collegio da 4 seggi la soglia di sbarramento calerebbe al 20% e in un collegio da 6 seggi al 15%.

Piñera voleva inoltre dare più attenzione all'aspetto sociale del modello di crescita economica che la democrazia aveva ereditato dal regime militare - modello che aveva lasciato grosse sperequazioni: porre fne all’indigenza entro il 2014 e alla povertà entro il 2018. Mantenendo nel 2012 un tasso di incremento del pil che con il +5,5% è stato il maggiore dell’Ocse, tra 2009 e 2011 la cifra degli indigenti è calata dal 3,7 al 2,8% della popolazione e quella della povertà dal 15,1 al 14,4%, anche se questi dati sono contestati.

Restano acuti focolai di malcontento tra gli studenti e tra gli indios. Ma sono questioni che Piñera ha ereditato dai governi di centro-sinistra, anche se non sembra essere riuscito a migliorare la situazione. Va aggiunto che Piñera è stato appoggiato anche da intellettuali già in prima linea nell’opposizione a Pinochet, da Jorge Edwards a Roberto Ampuero: quest’ultimo, il giallista creatore del famoso detective Cayetano Brulé, è un ex-giovane comunista per anni esule a Cuba e in Germania Orientale, che il 9 giugno è diventato addirittura ministro della Cultura.

In teoria questo quarantennale avrebbe dovuto segnare il definitivo superamento degli steccati del passato, verso la costruzione di un modello di memoria storica finalmente condivisa. Invece ha segnato una ripresa della polemica: probabilmente anche per il modo in cui alle imminenti presidenziali si affrontano 2 candidate la cui vicenda personale è legata in modo drammatico alle vicende del 1973.

Dichiarando che nel governo attuale vi sono “molti partecipanti al regime di Pinochet”, infatti, gran parte dell’opposizione ha scelto di disertare le celebrazioni ufficiali, partecipando invece a un “atto parallelo” in un Museo della Memoria che per la presenza della candidata presidenziale Michelle Bachelet ha acquisito un marcato carattere di propaganda elettorale - anche se la stessa Bachelet ha riconosciuto il rischio di tornare a un clima di polarizzazione. “Deploriamo il fatto che i dirigenti della Concertazione e il presidente del Senato”, che è il democristiano Jorge Pizarro, “non abbiano voluto venire al Palacio del la Moneda, che è la casa di tutti i cileni, a partecipare a un atto cui sono stati invitati dal presidente di tutti i cileni”, ha detto la segretaria generale del governo Cecilia Pérez, secondo cui "insistere nel dire che alcuni sono difensori delle vittime e altri no non è ciò a cui il Cile aspira nel presente e nel futuro. Non corrisponde a quel che è stato lo spirito e la traiettoria in materia di diritti umani dell'attuale presidente del Cile, Sebastián Piñera”.

Lo stesso Piñera, pur affermando con forza che “nei miei governi non c’è stato nessun ministro che lo sia stato anche del regime militare”, ha ammesso che quel regime ha avuto “ombre profonde” e che molti sono stati “suoi complici passivi”. “Giudici che hanno negato azioni che avrebbero permesso di salvare tante vite. Anche giornalisti, che misero titoli sapendo che quel che era pubblicato non corrispondeva a verità”. Però, oltre ad accusare Allende di aver distrutto lo Stato di diritto, ha insistito sulle “luci” di quello stesso regime: “il programma di modernizzazione della nostra società, della nostra economia e istituzioni, l’apertura all’esterno, l’incorporazione dell’economia sociale di mercato e le opportunità per l'iniziativa individuale”.

Erano peraltro tutti punti su cui la gran parte degli oppositori nel periodo della transizione del 1988-90 era d'accordo, punti che sono stati in effetti mantenuti dai governi di centro-sinistra - compresi quelli dei socialisti Ricardo Lagos e Michelle Bachelet. Un importante contributo al superamento del passato viene dal libro Voces de la reconciliación, a curato del già citato senatore di destra Hernán Larraín e dell’ex-senatore, segretario e presidente del Partito Socialista Ricardo Nuñez, con testi tra gli altri degli ex-presidenti Patricio Aylwin, Eduardo Frei e Ricardo Lagos, oltre che di Piñera e di vari politici, accademici, giuristi e dirigenti sociali. Alla presentazione del libro, il 26 agosto, Larraín ha formulato una pubblica richiesta di perdono a nome della destra. Gli ex presidenti Frei e Lagos hanno partecipato alla manifestazione con la Bachelet; altre manifestazioni, per ricordare violazioni dei diritti umani e vittime, sono state per le strade.

Tuttavia il tema di un regime il cui bilancio in diritti umani è di circa 3216 morti, 1200 desaparecidos, 30 mila torturati e 200 mila esuli, invece di stemperarsi, si sta facendo più rovente. Un sondaggio fatto proprio per il quarantennale dimostra infatti che secondo il 41% dei cileni il responsabile del golpe fu Pinochet, mentre il 9% dà le colpe principali a Allende e un 26% non sa o non risponde. Il 56% dice che i 17 anni del regime furono “cattivi”, contro l’8% che li giudica buoni: una proporzione che è di meno di un quinto rispetto al 44,01% di cileni che al referendum del 5 ottobre 1988 votò contro Pinochet (e tra loro, lo ribadiamo, Piñera non c’era); il 15% non sa o non risponde, il 21% li definisce “normali”. Secondo il 74%, poi, le divisioni di quel periodo “non sono state ancora dimenticate”, contro il 15% che dice di sì e l’11% che non sa o non risponde. Il 75% ritiene anche che rimangono le ferite lasciate dalla dittatura, contro il 12% e il 13% di non so o non rispondo.

Dieci anni fa, al tempo del trentesimo anniversario, solo il 24% dei cileni considerava Pinochet come il principale responsabile del golpe, contro il 13% di Allende. Fino al 2010 l’opinione maggioritaria sugli anni di Pinochet era positiva. E la proporzione dei cileni che ritiene Pinochet “il miglior governante del secolo” è caduta dal 27% del 1996 al 18 del 2006 e al 9 attuale. 


Maurizio Stefanini, giornalista professionista e saggista. Free lance, collabora con Il Foglio, Libero, Limes, Longitude, Agi Energia. Specialista in politica comparata, processi di transizione alla democrazia, problemi del Terzo Mondo, in particolare dell’America Latina, e rievocazioni storiche. Ha scritto: I senza patria; Avanzo di Allah cuore del mondo. Il romanzo dell'AfghanistanI nomi del maleGrandi coalizioni. Quando funzionano, quando noUltras. Identità, politica e violenza nel tifo sportivo da Pompei a Raciti e SandriIl partito «Repubblica». Una storia politica del giornale di Scalfari e MauroSesso & potere. Grandi scandali di ieri e di oggi. Ha scritto per Il Foglio una biografia di Fidel Castro in cinque puntate e una biografia di Hugo Chávez in venti puntate. Ha redatto il capitolo sull’Emisfero Occidentale in Nomos & Kaos Rapporto Nomisma 2010-2011 sulle prospettive economico-strategiche.
Fonte: Limes

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Siria, l'Iran vuole favorire il dialogo Rohani: "Pronti a mediare per fine crisi"

Teheran, 20 set. (Adnkronos) - Il governo di Teheran è pronto a mediare tra il regime di Bashar al-Assad e l'opposizione siriana in modo da mettere fine al conflitto in corso da 30 mesi in Siria e costato la vita a oltre 110mila persone. Parola del presidente iraniano Hasan Rohani, che in un intervento scritto sul 'Washington Post' afferma che ''dobbiamo creare un clima dopo i popoli della regione possano decidere il loro destino. In questo contesto, annuncio che il mio governo e' pronto a facilitare il dialogo tra il governo siriano e l'opposizione''.




''In primo luogo, dobbiamo unirci per lavorare in modo costruttivo per il dialogo nazionale in Siria come in Bahrain - ha aggiunto Rohani -. Dobbiamo creare un'atmosfera nella quale i popoli della regione possano decidere i propri destini''.
''In secondo luogo, dobbiamo affrontare le ingiustizie globali e le rivalita' che alimentano la violenza e le tensioni - ha proseguito Rohani - Un elemento chiave del mio impegno per l'interazione costruttiva comporta uno sforzo sincero di impegno con i Paesi vicini e le altre nazioni per individuare soluzioni vincenti''.
Rohani lancia poi un appello alle "controparti" di Teheran per "un dialogo costruttivo" con il suo governo, compresa la questione nucleare.
"In vista della mia partenza per New York per l'apertura dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite, chiedo alle mie controparti di cogliere l'opportunità presentata dalle recenti elezioni iraniane'', quelle che a giugno hanno portato alla presidenza al primo turno Rohani. ''Li invito a sfruttare al meglio il mandato che il mio popolo mi ha dato e a rispondere sinceramente agli sforzi del mio governo per avviare un dialogo costruttivo'', ha scritto.
''Dopo dieci anni di passi in avanti e indietro, è chiaro quello che tutte le parti non vogliono in relazione al nostro dossier nucleare - ha aggiunto - Questo puo' essere utile per evitare che i conflitti si scaldino, ma per andare oltre l'impasse, per quanto riguarda la Siria, la questione del nucleare o i rapporti con gli Stati Uniti, bisogna puntare piu' in alto''.
Secondo Rohani, ''piuttosto che concentrarsi su come evitare che le cose vadano sempre peggio, abbiamo bisogno di pensare, e di parlare, per migliorare le cose. Per fare questo, abbiamo tutti bisogno di trovare il coraggio di iniziare a trasmettere quello che vogliamo, in modo chiaro, conciso e sincero, con la volontà politica di prendere le misure necessarie. Questa è l'essenza del mio approccio''.

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Germania alle urne in 61.8 milioni




BERLINO  - In Germania si vota per il rinnovo del parlamento federale. Stando ai dati ufficiali, sono chiamati alle urne circa 61,8 milioni di elettori per 299 collegi, che sceglieranno chi votare tra i 34 partiti ammessi alle consultazioni. La maggioranza degli aventi diritto è composta di donne (51,5%), mentre circa il 9% - 5,8 milioni di persone - ha un passato migratorio alle spalle. Per la prima volta saranno chiamati a esprimere la propria preferenza a livello federale circa tre milioni di giovani, che hanno raggiunto la maggiore età dal 2009 a oggi. Un quinto degli elettori convocati ha invece più di settant'anni. Per i 34 partiti ammessi alle urne si candidano quest'anno 4451 persone, circa un terzo in più rispetto alle ultime elezioni, tra cui 1149 donne (25,8%). L'età media dei candidati è di 47,9 anni, come per le scorse elezioni del 2009. La più giovane aspirante parlamentare è nata nel 1995 e si presenta in un collegio elettorale bavarese, mentre il più anziano ha novant'anni e cerca l'elezione in un collegio berlinese. 

Nel voto del 2009, dopo quattro anni di grande coalizione a guida Angela Merkel tra l'Unione di Cdu/Csu e il partito socialdemocratico Spd, il centrodestra ottenne la maggioranza assoluta dei seggi (332 su 622). In quella tornata elettorale entrambi i partner di grande coalizione furono puniti dagli elettori. L'Unione ottenne con il 33,8% (-1,4%) dei voti il peggior risultato elettorale dalla fondazione della Repubblica federale tedesca nel 1949, mentre la Spd, con il 23% (-11,2%), registrò il più basso consenso mai ottenuto nella sua storia. Tra gli altri partiti, i liberali della Fdp si aggiudicarono il 14,6% (+4,7%), la sinistra radicale della Linke l'11,9% (+3,2%), mentre i Verdi il 10,7% (+2,6%). Nel 2009 si recò alle urne il 70,78% degli aventi diritto, la percentuale più bassa mai registrata in un'elezione federale nella storia repubblicana.

Fonte: ANSA

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